Il tema dei lobbysti all’interno della Commissione europea è sempre attuale e suscita grande interesse.
Con l’introduzione del Digital Markets Act , che rappresenta una sorta di nuova frontiera per il controllo antitrust nell’Unione Europea, diventa fondamentale capire come le grandi aziende tecnologiche stiano tentando di influenzare le politiche europee. Un recente rapporto redatto da organizzazioni non governative come Corporate Europe Observatory , LobbyControl e Somo ha messo in luce alcuni dei metodi utilizzati e il ruolo di queste figure nei palazzi della politica.
Un tema certamente caldo è quello della presenza di lobbysti nei meandri burocratici della Commissione europea. Questi professionisti sono spesso invisibili, ma la loro influenza può essere palpabile. Secondo quanto riportato da Margarita Silva, ricercatrice della ONG olandese Somo, in alcune delle riunioni fondamentali organizzate per valutare l’adeguamento al Digital Markets Act, erano presenti rappresentanti di giganti della tecnologia come Amazon, Apple e Meta. Durante i giorni dal 18 al 26 marzo 2024, si sono svolti incontri che hanno visto la partecipazione di circa quattromila persone. Queste conferenze sono state aperte al pubblico, concepite proprio per permettere a vari attori – che spaziano da concorrenti ad attivisti – di esprimere le proprie opinioni. È chiaro che l’adesione alle regole del DMA viene monitorata, ma la presenza di questi colossi solleva interrogativi su come effettivamente le regole vengano recepite.
I lobbysti, indubbiamente, giocano un ruolo critico in questi contesti, poiché cercano di modellare le decisioni politiche a loro favore. Le riunioni della Commissione, che dovrebbero essere un’occasione di trasparenza, rischiano talvolta di trasformarsi in occasioni in cui le aziende possono esercitare un’influenza sproporzionata. Queste dinamiche non sono qualcosa di nuovo, ma un capitolo che si ripete nel lungo contesto della storia economica, dove le grandi società spesso tentano di piegare le normative a beneficio dei loro interessi.
Il Digital Markets Act: un cambio di rotta
L’entrata in vigore del Digital Markets Act a marzo 2024 ha segnato un cambiamento significativo per il panorama dei mercati digitali in Europa. Questo regolamento fornisce alla Commissione europea strumenti inediti per il monitoraggio e la regolamentazione delle pratiche anticoncorrenziali nel settore digitale. Con il DMA, l’Unione mira a prevenire l’emergere di pratiche monopolistiche e oligopolistiche che possono avere impatti devastanti sul mercato e sui consumatori.
Il cuore della questione è la definizione di “gatekeeper“, ovvero quelle aziende che detengono una posizione dominante nel mercato e che, attraverso pratiche scorrette, potrebbero limitare la concorrenza. La Commissione intende garantire che queste aziende non si approfittino della loro posizione, ma piuttosto che contribuiscano a un ecosistema di mercato sano e equo. Una parte cruciale delle normative stabilite dal DMA è che le soluzioni tecniche e contrattuali proposte dalle aziende devono essere effettivamente praticabili e trasparenti. È proprio in questo contesto che l’intervento dei lobbysti assume un significato rilevante, poiché la loro azione potrebbe influenzare il modo in cui le norme vengono applicate e interpretate.
Tuttavia, il rischio è che, sebbene l’intento sia nobile, la complessità delle normative possa favorire le aziende più grandi e meglio attrezzate per affrontare le sfide legali. I rappresentanti delle ONG mettono in guardia sul fatto che le multinazionali, grazie ai loro robusti uffici legali, possano pensare di trovare scappatoie che, pur rimanendo formalmente nei limiti delle leggi, di fatto possano minare l’essenza delle leggi stesse. Un fenomeno da tenere d’occhio è quello di presentare “soluzioni” che a un primo sguardo sembrino benefiche, ma che nella pratica possono celare delicate insidie.
Quando si parla dell’influenza dei lobbysti sui processi decisionali, è fondamentale analizzare le tattiche utilizzate. Questi professionisti spesso usano strategia ben consolidate per ottenere risultati favorevoli ai loro interessi. Uno degli approcci più comuni è quello di “instillare dubbi”, come evidenziato da più fonti. In questo modo, i lobbysti cercano di creare incertezze intorno all’interpretazione e all’applicazione delle normative, rendendo più difficile per i regolatori prendere decisioni chiare e nette.
L’approccio non è del tutto differente da quanto visto nel passato. In effetti, nei decenni passati, l’industria del tabacco ha utilizzato tattiche simili per oscurare i danni causati dal fumo. Le aziende più potenti possono così partecipare attivamente alle consultazioni, ma non sempre con l’intento di contribuire in modo costruttivo. Anzi, è più probabile che si cerchi di ritardare l’applicazione delle normative, o di minimizzare i requisiti che devono essere rispettati.
Con oltre quattromila partecipanti e diversi giorni di incontri, è evidente che le riunioni rappresentano un’opportunità ideale per fare lobby. Ma non si tratta solo di lobby, bensì anche di una vera e propria battaglia culturale, dove chi ha accesso alle giuste informazioni e ai canali di comunicazione può avere un vantaggio notevole. Dunque, il panorama si complica ulteriormente, poiché si intrecciano interessi economici, politici e sociali.
Mentre il mondo attende di comprendere gli effetti reali delle normative come il DMA, emerge un quadro in cui, al di là delle parole, si tendono a tessere trame intricate di influenza e potere, che chiedono attenzione e vigilanza costante per garantire che il futuro dei mercati digitali in Europa sia equo e favorevole per tutti.