In un contesto di crescente tensione e dibattito nei confronti delle politiche migratorie in Europa, l’accordo tra Italia e Albania ha portato alla ribalta questioni fondamentali riguardanti la classificazione dei “paesi sicuri”.
Di recente, il Tribunale di Roma ha messo in discussione questo accordo, richiamando l’attenzione sulle implicazioni legali e sui principi stabiliti dalla Corte di Giustizia europea. L’intreccio tra giurisprudenza e politiche migratorie infiamma il dibattito, con impatti significativi tanto per i migranti quanto per le nazioni coinvolte.
La firma del patto tra Roma e Tirana, avvenuta lo scorso novembre, prevede il trasferimento di richiedenti asilo intercettati in acque internazionali verso la Albania. Tuttavia, i recenti sviluppi giudiziari hanno fatto emergere dubbi sulla sua applicabilità. Infatti, i giudici romani hanno bloccato il trasferimento dei primi migranti provenienti da paesi come Bangladesh ed Egitto. La motivazione? Non possono essere considerati “sicuri” secondo le normative europee. Questa sentenza mette in discussione la validità della procedura di asilo accelerata sostenuta dall’accordo italo-albanese. Il punto focale della decisione è legato a una recente sentenza della Corte di Giustizia europea, che ha dichiarato che un paese può rientrare nella lista dei “paesi sicuri” solo se lo è per tutti i cittadini e non solo parzialmente. Questo avvenimento segna un capitolo importante nella complessa trama delle politiche migratorie, ponendo interrogativi sull’equità e sull’efficacia di simili accordi bilaterali.
Come risponde il governo italiano?
Di fronte a questa nuova situazione, l’esecutivo italiano ha reagito velocemente, approvando un decreto che modifica lo status giuridico relativo alla lista dei “paesi sicuri”. Prima regolamentata da un decreto interministeriale del maggio 2024, ora la lista assume la forma di una legge di stato, il che cambia sostanzialmente il campo d’azione per i giudici. Essenzialmente non avranno più la facoltà di disapplicare direttamente la lista, ma dovranno eventualmente considerare questioni di costituzionalità. Questa modifica legislativa, approvata il 21 ottobre, è stata caldeggiata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale ha affermato che il passaggio porterà a un cambiamento nel modo in cui il sistema giudiziario italiano affronta le questioni legate ai migranti. Resta da vedere, però, se questo approccio riuscirà a eludere le critiche e i timori legati alle normative europee, in particolare quelle stabilite dalla Corte di Giustizia, che potrebbero continuare a influenzare drasticamente le politiche nazionali.
Riforma dell’elenco dei paesi sicuri
Nel contesto della nuova legge, il governo italiano ha anche preso la decisione di rivedere la lista dei paesi considerati sicuri, riducendo il numero da 22 a 19. L’asportazione di Stati come Camerun, Colombia e Nigeria è stata giustificata dal ministro dell’Interno, Piantedosi, che ha affermato che queste nazioni presentano aree territoriali cu non sono completamente sicure. Restano invece nel catalogo paesi come Albania, Algeria, Bangladesh e altri, ma la domanda che sorge è: basta questa iniziativa? Nonostante il tentativo di salvaguardare l’accordo bilaterale con Tirana, esperti legali sostengono che la riforma potrebbe non essere sufficiente per risolvere le problematiche già sollevate. Infatti, la stessa sentenza della Corte di Giustizia sottolinea che per essere ritenuti sicuri, i paesi devono coprire ogni cittadino senza eccezioni. Ciò significa che, anche con la modifica della lista, restano in gioco disuguaglianze legate a chi può o non può trovare protezione e su quali basi.
La definizione di “paesi sicuri”
Ma cosa si intende, esattamente, per “paesi sicuri”? In teoria, uno stato è considerato privo di persecuzioni sistematiche e conflitti armati, dove i cittadini non avrebbero fondati motivi per cercare asilo altrove. Questa definizione, però, nasconde numerose complessità. La nozione di “paese sicuro” non è affatto nuova nelle politiche migratorie europee: risale agli anni Ottanta, quando la Danimarca introdusse per prima questo concetto nella legislazione. Da quel momento, è diventato una pietra miliare nelle discussioni riguardanti il tema dei rifugiati. Ad oggi, secondo l’Unione Europea, un paese può essere designato come “sicuro” solo se non vi sono, in generale e in modo costante, persecuzioni in atto. Tuttavia, l’applicazione di questa definizione genera impatti diretti e reali sulle procedure di asilo. Di fatto, consente una valutazione accelerata delle richieste d’asilo per i cittadini provenienti da questi paesi, a meno che questi non possano dimostrare la loro situazione particolare. Un processo che suscita interrogativi sulla giustizia e sull’applicazione equa delle leggi.
Lista attuale dei paesi considerati sicuri
Ora, vorremmo dare uno sguardo alla lista attuale di quali stati siano considerati sicuri dalla Corte di Giustizia europea. Attualmente, 22 paesi sparse su quattro continenti sono incluse nel catalogo. Questa varietà geografica include nazioni balcaniche come Albania, Kosovo e Serbia, dall’Africa troviamo sia l’Egitto che il Marocco, mentre nel continente asiatico spiccano stati come Bangladesh e Georgia. Non è da sottovalutare la presenza di nazioni del Sudamerica come Colombia e Perù. Questa amplitude nel catalogo dei paesi sicuri sottolinea non solo le differenze culturali e politiche in gioco ma anche la complessità di raggiungere una definizione comune di sicurezza, e come le politiche migratorie restano un tema controverso e in evoluzione.